Gli alimenti dopo la scadenza si possono comunque mangiare? Una domanda che, prima o poi, ci siamo posti un po’ tutti, soprattutto se avevamo dimenticato nei meandri del nostro frigorifero una confezione di uova o una confezione di prosciutto.
In realtà per chiarire la questione occorre fare una precisazione: esiste una sostanziale differenza tra termine minimo di conservazione e data di scadenza. Per scoprirla, non basta leggere l’etichetta sui prodotti ma anche conoscere il significato dell’una e dell’altra espressione.
Facciamo chiarezza.
Lo spreco di cibo a livello globale – e in particolare nei Paesi occidentali – è un problema molto capillare e molto grave, soprattutto in rapporto al fatto che in molti altri luoghi del mondo fame e malnutrizione sono purtroppo una realtà concreta. Consumare alimenti scaduti significa dunque compiere un piccolo gesto contro lo spreco alimentare.
Attenzione, però: non tutti i prodotti possono essere ancora commestibili, ma solo quelli che hanno indicato il termine minimo di conservazione, cioè la data fino alla quale un prodotto, posto che venga ottimamente conservato, mantiene le sue proprietà specifiche. Passata questa data, l’alimento può essere comunque consumato, anche se magari avrà perso alcune caratteristiche organolettiche e nutrizionali originarie.
Semplice: leggendo l’etichetta, sulla quale sarà indicata la dicitura “consumare preferibilmente entro”, seguita dalla data e da dove è indicata sulla confezione (per esempio può esserci scritto: “vedi tappo”). I prodotti con un termine minimo di conservazione possono dunque essere consumati in tutta sicurezza anche dopo la data riportata sull’etichetta.
I prodotti più comuni contrassegnati dal termine minimo di conservazione sono tonno in scatola, sottaceti, ma anche conserve di pomodoro, pasta e riso. Generalmente per i prodotti conservabili per un tempo inferiore ai tre mesi vengono indicati giorno e mese del termine ultimo di conservazione; per i prodotti conservabili entro diciotto mesi il mese e l’anno e, infine, per i prodotti conservabili oltre diciotto mesi solo l’anno. Talvolta sull’etichetta del prodotto si specificano anche le modalità ottimali di conservazione, come può essere la dicitura “conservare in frigorifero e consumare entro tre giorni dall’apertura”.
La data di scadenza degli alimenti si riconosce invece perché sull’etichetta del prodotto è riportata l’espressione “da consumarsi entro”, seguita dalla data completa, e cioè giorno, mese e anno. Questi alimenti, dopo la scadenza, non si possono più consumare poiché particolarmente deperibili dal punto di vista microbiologico e dunque pericolosi per la salute umana.
Ma cosa succede se si mangiano cibi scaduti? Nel caso di pesce e carne freschi, per esempio, c’è un’elevata probabilità che si sviluppino cariche batteriche nocive per l’organismo, che possono generare disturbi come vomito, diarrea e, in generale, problemi intestinali.
Se è vero che lo spreco di cibo rappresenta un grave problema, è altrettanto vero che molti consumatori non hanno ben chiara la distinzione tra termine minimo di conservazione e data di scadenza. Per questo la Commissione Europea ha di recente redatto una nuova bozza di revisione delle norme riguardanti la data di scadenza degli alimenti all’interno della quale viene proposto l’utilizzo della dicitura “spesso buono oltre”: rispetto al solito “da consumarsi preferibilmente entro”, la nuova espressione sarebbe più comprensibile nell’immediato e, di conseguenza, potrebbe influire in misura maggiore il processo decisionale dei consumatori circa la possibilità di consumare o eliminare un determinato alimento.
Quando la sicurezza per la salute viene maggiormente percepita, infatti, si tenderebbe a mangiare i cibi anche oltre il termine minimo di conservazione, riducendo così gli sprechi.
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